Centro di Studio sul Folklore Piceno
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    GIANNI BRAGONI (Consigliere Nazionale F.I.T.P.):

L’iniziativa di questo incontro è partita da tre gruppi folklorici ad una assemblea Regionale della Federazione Italiana Tradizioni Popolari, constatando amaramente il fatto che le Marche pur essendo una Regione anche abbastanza viva dal punto di vista del folklore, manca di una efficace coordinazione. Si è pensato quindi ad un primo incontro che permetta ai gruppi folklorici marchigiani quanto meno di incontrarsi e conoscersi e magari individuare una strada, un percorso, per una forma di collaborazione che ci porti a un traguardo definito per quanto riguarda il folklore, al di là delle proprie autonomie che vanno assolutamente mantenute. Il folklore infatti comprende tante cose e ha tante sfumature: è ballo, canto, musica. Quindi ognuno fa la sua attività come meglio crede, la speranza è quella di riuscire a coordinare queste attività facendo qualcosa di costruttivo verificando se ci sono i numeri anche per proporci a livello regionale con una Associazione, con un comitato, con un qualcosa di più consistente perché ci siamo resi conto che abbiamo pochissimo peso a carattere regionale e provinciale. Proprio per questo abbiamo invitato due professori molto esperti di tradizione come il professor Angeletti e il professor Rossi che ci parleranno di argomenti che poi illustreremo strada facendo. Prima volevo dare la possibilità al Presidente Federazione Italiana Tradizioni Popolari, il professor Benito Ripoli di fare un suo intervento, di darci il benvenuto e di illustrarci un po’ quelle che sono le caratteristiche e le sfide che si propone la Federazione per quanto riguarda i gruppi folklorici.

La parola al professor Ripoli.

BENITO RIPOLI (Presidente Nazionale F.I.T.P.):

Sono estremamente felice, e non è una frase fatta, di essere qui. Una delle primissime riunioni fatte da me in Assemblea Regionale infatti è avvenuta proprio nelle Marche. Nel mio intervento all’Assemblea Generale di Paestum ho dichiarato che a livello di Federazione ci sarà più attenzione per quelle Regioni in cui siamo meno presenti. Ciò per il semplice motivo che il nostro arricchimento deve venire dalla conoscenza delle culture più varie Oggi con il mio intervento non vorrò addentrarmi nei meandri della tipica cultura di questa Regione perché abbiamo qui illustri professori che ci parleranno di questo; mi interessa oggi invece che io possa presentare la “nuova Federazione” in cui vige sicuramente una mentalità diversa, una Federazione che ha bisogno di gente nuova che possa portare entusiasmo e progettualità moderna perché è giusto che si ritorni al passato, che facciamo rivivere certe tradizioni, è giusto che rimaniamo fedeli nei gruppi folklorici alla veridicità storica (che ci è stata tramandata nella maggior parte dei casi oralmente mentre in alcuni casi si ha la fortuna di trovarli scritti in libri), ma è indispensabile rivolgere lo sguardo al futuro. Come Federazione abbiamo pensato prima di tutto di rifarci il look, di presentarci in modo diverso ai nostri associati che sono tantissimi. Oggi abbiamo raggiunto la ragguardevole cifra di 336 gruppi, siamo un “esercito”, importantissimo perché porta cultura, un esercito che fa leva sull’associazionismo e sul volontariato.


Le nostre attenzioni oggi sono rivolte ai giovani. Io mi sono ribellato a chi durante l’assemblea generale ha criticato i gruppi di musica popolare affermando che questi gruppi esistono a scapito dei gruppi folklorici. Così non è. Io vivo una realtà importantissima e particolare nelle Puglie dove sono proliferati i gruppi di musica popolare a attesto che essi fanno cultura come la facciamo noi (gruppi folklorici), fanno ricerca come la facciamo noi, portano sul palco i canti veri. La differenza è che logicamente i gruppi di musica popolare hanno apportato sonorità moderne, che possono interessare i giovani. Io giustifico questa presenza tant’è che sono il presidente di due gruppi, uno che fa attività folklorica vera e propria ormai da 40 anni e un altro che fa musica popolare da 4 anni. Sono stato preso da questo fenomeno della musica popolare non perché spinto dalla moda, ma perché la nostra esigenza è quella di avvicinare i giovani al nostro mondo, altrimenti fra 20-30 anni saremmo un popolo mummificato.La tradizione inoltre, non deve mai essere statica, ma al contrario dinamica, deve cercare di far rivivere con lo stesso spirito con cui lo vivevano i nostri antenati la tradizione ma logicamente deve innestarsi nella realtà moderna, in una società diversa. Non possiamo pretendere che tutti i giovani possano andare sul palco e suonare strumenti tipici che si costruivano i nostri contadini; per questo motivo dobbiamo far rivivere quella tradizione attraverso anche delle sonorità moderne. Il mio gruppo di musica popolare è composto di circa 85 elementi, tutti giovani, perché io li attraggo con questo modo nuovo di fare folklore dopo di che si innamorano del folklore vero e sono loro stessi che fanno ricerca che li porta logicamente a conoscere le realtà di una volta, di 100-200 anni fa, a studiare a ricercare. Sto attualmente insegnando Antropologia all’Università di Foggia e posso testimoniare che i giovani man mano che andiamo avanti con le lezioni si interessano sempre di più a questo mondo. La massima di Sant’Agostino << il presente del passato deve essere il ricordo, il presente del presente la realtà, il presente del futuro la speranza >> può essere presa come linea guida per i gruppi folklorici. Questa massima sottolinea un trapasso continuo: bisogna ricordarsi del tempo passato, di quello che accadeva 100-200-1000 anni fa, innestarlo nel presente, cioè nella realtà in cui viviamo, nella speranza è quella che se ne interessino i giovani per proiettarlo nel futuro. È la linea che sta seguendo anche la Federazione che ha avuto una predilezione particolare per l’aspetto prettamente culturale. Esempio di questa attenzione è la nostra rivista scientifica: oggi ho qui il numero dedicato alla Sardegna che ogni gruppo presente potrà ritirare. È già uscito il numero della Calabria e della Puglia, prossimamente uscirà quello della Lombardia e poi via via le altre regioni. Alla fine avremo una collana importantissima e bella nella quale scrivono esclusivamente professori universitari (quelli ovviamente che da sempre fanno ricerche su questi argomenti), anche se non più tardi di 20 giorni fa il professore Mario Atzori, dopo un intervento in una importante assise dell’Università di Sassari ha detto che i veri cultori della tradizione popolare sono i Gruppi folklorici. Logicamente presentarsi al Ministero e ai mass-media con una collana del genere con tutte le Regioni è una cosa veramente importante. Come Federazione abbiamo curato per prima cosa il restilyng del nostro sito che era ridicolo, senza aggiornamenti di notizie, senza anima, che non era appetibile e quindi scarsamente visitato. Oggi appare un vero sito, anche se si devono completare ancora alcune cose, ma già da un mese è cresciuto del 200% negli accessi. Il primo atto che ho fatto appena eletto presidente lo scorso anno è stato quello di dotarmi di un ufficio stampa composto di giornalisti professionisti ai quali ho affidato l’incarico di gestire il nostro notiziario oltre che tutta la produzione letteraria, giornalistica, dei mass-media. Questo perché onestamente non ne sarei stato capace, o lo avrei fatto con la vecchia mentalità. Quindi la prima cosa su cui abbiamo fortemente puntato è stata il restyling del sito e la comunicazione. Un altro annoso problema affrontato inizialmente era quello dell’assicurazione. Nel passato non abbiamo mai riscosso i danni di un incidente (fatta eccezione per due casi), mai che sia stato soddisfatto un nostro associato dall’assicurazione, perché pagavamo una cifra, che era irrisoria. L’unica garanzia con la vecchia assicurazione era che noi presidenti non correvamo alcun rischio se succedevano cose gravi. Ad esempio è morta sul palco una ragazza di Monte Sant’Angelo negli Stati Uniti appena finito lo spettacolo e il presidente di quel gruppo sta passando i guai perché non era affiliato e non aveva assicurazione. Ora abbiamo un’assicurazione efficiente, la Nationale Suisse, una multinazionale molto seria ed efficiente, che ha già soddisfatto le richieste di tre denunce nel giro di due mesi. Ecco il motivo per cui c’è stato un piccolo aumento della tessera (il primo dopo dieci anni) che è dovuto esclusivamente dai costi di questa nuova assicurazione. Però oggi abbiamo un interlocutore, non dobbiamo più rivolgerci ad enti che si scaricavano la responsabilità e non soddisfacevano mai le esigenze: oggi abbiamo un’assicurazione funzionante, vera, che soddisfa sotto tutti i punti di vista. Questa nuova esigenza di vivere nel moderno attraverso la nostra tradizione, non è solo trasposizione scenica. È importante far rivivere i momenti di una volta sul palco anche attraverso sound moderni e qualsiasi altro espediente che possa avvicinare la gente al nostro mondo. Per questo abbiamo pensato bene spendendo dei soldi (prima poteva sembrare un’eresia, una cosa anacronistica per i vecchi dirigenti) che ci hanno permesso di essere presenti alla Bit di Milano. E’ stato importantissimo esserci anche se naturalmente abbiamo anche commesso degli errori dovuti all’ingenuità. Sicuramente il prossimo anno saremo presenti con più forza, con uno stand migliore, anche se quello di quest’anno era localizzato in una posizione importante ed è stato molto visitato: abbiamo avuto circa 180-190 contatti, alcuni dei quali hanno prodotto già, altri produrranno nel tempo. Qualsiasi cosa che fa notizia, che si interfaccia con altre realtà sicuramente produce qualche cosa in tempi immediati oppure futuro. La prima cosa che ha prodotto la presenza alla Bit di Milano è che per il prossimo anno avremo due sponsorizzazioni a livello nazionale che porteranno ossigeno nelle nostre casse e ci permetteranno di organizzare delle manifestazioni. Si tratta di due grandi aziende come la Coca Cola e la Ferrarelle che si sono avvicinate al nostro stand e al nostro mondo, hanno capito che c’è di mezzo il volontariato, che c’è serietà e ci hanno manifestato l’intenzione, per il prossimo anno (il 2009), di interfacciarsi con noi e gestire tutte le nostre manifestazioni. Colgo l’occasione per ringraziare Mario Borroni davanti ai suoi conterranei per aver partecipato alla Bit col suo gruppo Ortensia. A Milano siamo stati contattati da un signore che ha organizza tutti gli anni a Roma “Vieni in Provincia”, una manifestazione che quest’anno, neanche a farlo a posta, aveva come tema proprio la tradizione, le relazioni e i rapporti interculturali. La manifestazione si è svolta quest’anno a Roma a Villa Borghese il 24-25-26-27 di aprile: ci hanno subito chiamato e offerto un grande stand. La FITP è stata presente a Roma in una sede prestigiosa con la presenza di autorità di vario genere. Tutti i gruppi del Lazio sono stati presenti in forze e hanno fatto spettacoli tutti i giorni dalla mattina alla sera. La FITP ci ha portato a questi rapporti ma ce ne porterà altri sicuramente. Un'altra novità importante del nuovo corso della Federazione è che non si delibera più a livello centrale a Roma, ma si tiene conto delle realtà periferiche, perché molte realtà non le conosciamo o le conosciamo relativamente solo nelle occasioni in cui capita di incontrasi. Ad esempio abbiamo presente qui in sala un premiato della manifestazione “I Padri del Folklore” che ci è stato segnalato direttamente dalla Presidenza del Comitato Regionale. Abbiamo demandato tutto a livello regionale: ci hanno indicato gli organi regionali chi premiare, ci hanno suggerito come organizzare, così come è avvenuto per la “Scalinata del Folklore”, manifestazione che ha prodotto un bellissimo calendario. Ogni nostra scelta è legata, concatenata e mirata per far si che il nostro mondo venga riconosciuto per quello che è e per le potenzialità che ha. 15-16000 giovani associati sono una forza preponderante in Italia ma purtroppo non siamo affatto considerati nei ministeri: dobbiamo avere più peso politico, è questo l’importante. Ecco perché abbiamo curato la visibilità, ecco perché è nato il nuovo giornale, ecco il perché dell’annuario che dopo cinque anni ha visto la nascita. Pensate l’importanza di questo annuario che è una cosa grandiosa: è un libro molto grande e ben fatto dove ogni gruppo avrà la sua visibilità. Quindi visibilità prima di tutto: la avremo nel sito, nel giornale, nell’annuario e nelle riviste scientifiche. I cittadini, le pro-loco, i Comuni, le Regioni, ci conosceranno soprattutto attraverso questi materiali e capiranno che siamo una forza vera, non fatta solo di volontariato e di giovani. Nelle assemblee dove vado in tutta Italia non ci presentiamo più come facevamo prima con i fogli delle trasferte da proporre all’estero. Prima la cosa che chiedevano alla Federazione è: << Cosa ci da la Federazione? L’assicurazione non ce la da, le trasferte non ce le dà >>. Le trasferte ci sono, ma oggi la gente chiede servizi, visibilità, organizzazione di manifestazioni. Noi questo lo stiamo facendo e ci siamo incanalati perché queste cose vengano realizzate, e le realizzeremo tutte. Facendo un bilancio non possiamo dire che sia stato un anno trionfale, non tutte le ciambelle infatti sono riuscite, diciamo che è stato un anno buono e spero che sia ottimo il prossimo. Ad esempio non riesco ancora ad organizzare e concretizzare l’Orchestra Nazionale del Folklore. Sarebbe bellissimo presentarsi alle manifestazioni con tutti i nostri gruppi e le nostre realtà. Avevamo pensato anche a come organizzare l’Orchestra ma purtroppo ci sono state poche prenotazioni al bando che ho pubblicato sul nostro giornale. Si era pensato a due o tre persone per gruppo, due o tre strumenti tradizionali, a cui avremmo mandato le musiche e gli spartiti per imparare certe canzoni. A Senigallia 50 orchestrali che suonavano insieme hanno prodotto un colpo d’occhio straordinario. Un’altra iniziativa da organizzare e concretizzare, anche se non c’entra niente con il nostro mondo, è la Nazionale del Folklore. Ma pensate per un attimo, guardando lontano, se si realizzasse una cosa del genere, allo Stadio Olimpico di Roma o in un altro stadio: Nazionale FITP contro Nazionale Cantanti, tanti gruppi, televisioni e tutto il resto. Questa è visibilità ed io a questo tendo, perché poi i soldi arrivano. Noi siamo una Federazione forte, anche economicamente: abbiamo 250000 euro in banca che però sono là inservibili, non utilizzati. A questo proposito ci siamo interessati politicamente e dovremmo quanto prima avere a Roma la famosa “Casa delle Regioni”, dove ogni Regione curerà e gestirà la sua stanza come meglio crede. In questa “Casa” realizzeremo una foresteria con delle camere. Ci daranno una casa delle molte abbandonate dell’Anas nel circondario di Roma, quella che ci hanno proposto non è neppure troppo malandata. Politicamente siamo riusciti ad arrivare alla Provincia e già avremmo avuto lo stabile se il Presidente della Provincia di Roma non si fosse dimesso. Ora la giunta è caduta, il Presidente non è stato rieletto ma fortunatamente è stato rieletto invece l’Assessore che aveva seguito la pratica e quindi questo progetto è ora all’ordine del giorno. Ecco come utilizzeremo questi soldi, rimetteremo a nuovo questa casa abbandonata, risparmiando anche dei soldi in quanto abbiamo il nostro progettista che lavorerà gratis. Roma è un luogo strategico perché fa tappa: ad esempio i gruppi che vanno in Sudamerica si devono imbarcare a Roma, i gruppi che scendono dal nord devono passare a Roma, e così via. Questi gruppi invece di spendere un sacco di soldi perché a Roma solo per dormire ci vorranno almeno 150 euro, saranno ospitati in questa casa, mangeranno e dormiranno là e spenderanno 20 euro per esempio, in pratica solo i soldi delle spese. Questo progetto quindi ha una duplice valenza: da un lato è un vantaggio economico e logistico per i gruppi e in più ci permette di utilizziare i soldi in banca, anziché lasciarli là da tanti anni inutilizzati; oggi conviene investire sia in immagine che materialmente. “La Scalinata del Folklore”, quest’anno verrà riproposta perché oltre ad essere stata una bella manifestazione in un luogo molto bello, è stata a costo zero in quanto siamo stati ospitati dal gruppo folclorico “Lu scattusu”. Questa manifestazione quindi non ha fatto spendere una lira alla Federazione e ha prodotto un calendario che è stato distribuito in tutte le zone d’Italia: il primo è andato addirittura al Presidente della Repubblica. Ci siamo quindi resi visibili alle istituzioni un po’ in tutta Italia e questo per rimarcare che ogni nostra azione è stata mirata alla visibilità perché tutto il resto viene di conseguenza. “I Padri del Folklore” quest’anno sono stati organizzati nella mia città, a San Giovanni Rotondo, e sono stato anche criticato per questo. Molti hanno detto: << ma come mai quest’anno che il Presidente è pugliese, si fanno tutte queste manifestazioni in Puglia (I Padri del Folklore, La Scalinata del Folklore)? >>. Il vero motivo è che dovevo far decollare questa manifestazione a costo zero. Anzi, per “I Padri del Folklore” abbiamo anche introitato 3000 euro di attivo, grazie agli sponsor. L’ho voluta fare nel mio paese perché lì sicuramente sarebbe riuscita. Ora che la manifestazione è decollata il prossimo anno si farà in Calabria, mentre la Scalinata se ci va bene la facciamo a Trinità dei Monti. Speriamo di riuscire ad organizzarla in questo luogo prestigioso e penso che ci riusciremo anche a farcela, altrimenti abbiamo altri luoghi come alternativa, così come abbiamo alternative per le altre nostre manifestazioni storiche come “Il Fanciullo e il Folklore” e “Italia e Regioni”. Tutto sommato possiamo affermare che ci lasciamo alle spalle un anno felice anche se alcuni attribuiscono questo alla “fortuna” o alla protezione di Padre Pio del Presidente. Io invece sostengo che se si lavora le cose possono andare qualche volta bene e qualche volta meno bene e noi stiamo lavorando. Ho la fortuna di essere pensionato da due anni e quindi sto continuamente in giro, sto dedicando tutto il mio tempo a questo incarico e ciò mi sta esaltando soprattutto perché stanno venendo fuori i risultati.. A Senigallia, dove si è svolta dal 14 al 16 settembre scorso “Italia e Regioni", è stato un momento molto bello sotto molti punti di vista: come spettacolo, come luogo, come alberghi, con la piena disponibilità delle autorità. Alla stessa maniera è stato bello ad Assisi e anche a Paola, dove però abbiamo commesso anche degli errori che non ripeteremo più: sicuramente la manifestazione cambierà sia come assetto gestionale sia come spettacoli. La Federazione oggi è diversa, troverete disponibilità sotto tutti i punti di vista ma anche un nuovo assetto gestionale. Andando sul lato pratico, per la vecchia segreteria spendevamo 48000 euro tra stipendi e tutto il resto, oggi ne spendiamo 30000 con tre segreterie. Quella vera e propria sta a San Giovanni Rotondo dove non spendiamo soldi perché c’è come segretaria una ragazza del mio gruppo e come sede sfruttiamo la mia sede, come unica spesa c’è solo l’allestimento del sito, dei pc e tutto il resto; poi abbiamo una segreteria amministrativa a Catanzaro e la tesoreria a Ficarra (ME), con i nostri tecnici, con un ufficio stampa che funziona e paghiamo pochissimo (nemmeno 4000 euro all’anno) composto da giornalisti che sono “innamorati” di noi. Riassumendo in un anno abbiamo già risparmiato 18000 euro, può apparire un controsenso ma non è così, bisogna investire nel modo giusto per poter risparmiare ed è ciò che stiamo cercando di fare e che faremo. Tornando all’incontro odierno manifesto la mia gratitudine soprattutto ai tanti gruppi che partecipano a questo seminario pur non essendo nostri aderenti. Come FITP stiamo cercando di instaurare un clima diverso, di collaborazione con le altre Federazioni, per quanto noi siamo “la Federazione”, anche da un punto di vista numerico. Ma a noi non interessa questo, quello che ci interessa è interfacciarci correttamente con gente che fa folklore e sacrifici come noi. Uno dei primi atti che ho fatto come presidente, forse il primo addirittura, è stato quello di scrivere una lettera ai presidenti degli altri due gruppi per intavolare un discorso diverso. Voglio essere corretto perché questa è gente che fa sacrifici come noi, gente che lavora senza nessuno stipendio, anzi, rimettendoci dei soldi, quindi rinnovo il ringraziamento della vostra presenza. Mai dico mai io farò un’azione che possa ledere una associazione che lavora come noi, con lo stesso spirito, la stessa moralità e lo stesso entusiasmo. Ma la collaborazione porterà sicuramente a dei risultati. Ai gruppi che non sono iscritti a nessuna Federazione dico che questi siamo noi, seppur velocemente vi ho offerto un quadro di ciò che rappresentiamo. Io spero che questa gente possa entrare nella nostra famiglia non perché porterà numeri, ma un arricchimento morale. Dovete sapere che è una lite continua ormai con gli amici siciliani (che rimarranno sempre amici) perché si sentono in un certo senso defraudati di un certo potere in quanto la gestione precedentemente avveniva solo con i gruppi della Sicilia. Mi stanno combattendo a livello personale ma oggi la Federazione è diversa e non può più ragionare con i vecchi metodi e allora sto cercando di fargli capire che questo porta del bene anche a loro. Non avrò paura di nessuno perché io non prendo soldi, non ho posizioni da difendere, non commetto errori perché gli altri non mi permettono di commetterli: il presidente oggi infatti è più che altro un fatto di immagine. Spero che i gruppi qui presenti non inscritti possano da domani far parte della nostra Federazione. Il comitato regionale della FITP è preposto a gestire i gruppi sotto tutti i punti di vista. Dovete fare gli incontri perché da quelli nascono proposte molto belle. Grazie ai ragazzi in costume, perché il rispetto dell’abito è fondamentale. Vi chiedo scusa e vi ringrazio per l’accoglienza.

GIANNI BRAGONI (Consigliere Nazionale F.I.T.P.):

Salutiamo Benito Ripoli e iniziamo adesso a trattare quello che è l’argomento del seminario con due esperti del folklore a livello regionale. La parola quindi al professor Luigi Rossi che ci parlerà dell’importanza della salvaguardia del folklore come bene culturale. Dopo questi esperti aspettiamo l’intervento dei gruppi per proporre delle proposte, dobbiamo infatti individuare quale è la strada da percorrere.

Prof. LUIGI ROSSI (Esperto di tradizioni popolari, rappresentante del Centro di Studio sul Folklore Piceno):

Per prima cosa voglio esprimere, anche a nome dell’assemblea, un ringraziamento e compiacimento al Presidente della Federazione Ripoli per l’entusiasmo, l’impegno e le idealità che lo ispirano in questo suo ruolo. Ruolo fondamentale proprio perché il folklore genericamente inteso non ha avuto in passato, e fa fatica ancora adesso, ad avere il riconoscimento che invece merita. Avete intitolato la giornata di oggi “Le origini del Folklore”. È un titolo un po’ impegnativo perché il folklore nasce con il formarsi delle società territoriali, quindi per ricercare le origini dobbiamo risalire a millenni indietro nel tempo. Sappiamo che ciascuna società che vive in un territorio ha la sua cultura che ha manifestato nel modellare quel territorio, nel realizzare quei manufatti che nel territorio insistono, nell’aver prodotto una letteratura, una musica, un’arte che fa parte di quel territorio, nell’avere una mentalità, uno stile di vita, un sistema sociale che non è invenzione di un incontro estemporaneo fra capi-famiglia o amministratori o politici ma che risale indietro nel tempo fino alla notte dei tempi. Quindi il Folklore è quel sostrato che ci ricollega al nostro passato e che ci definisce nel presente. È un sostrato che siccome non è facilmente leggibile, finora è stato calpestato come se non ci fosse. Come una sorgente sotterranea di acqua che dal momento che non si vede, non la si considera mentre invece ha un’importanza fondamentale. La politica che è stata fatta dal dopoguerra, nel periodo del miracolo economico, di sviluppo, è stata quella di sovraccaricare di importanza gli aspetti più visibili delle culture locali. Per prima cosa quindi si è avuta attenzione per i monumenti, sono nate le sovrintendenze ai monumenti, sono stati restaurati, valorizzati, promossi; poi la pittura con le relative sovrintendenze, gli organismi nazionali che promuovono le opere d’arte, le vigilano, ne regolamentano l’uso; poi l’urbanistica, si è cominciato a parlare di sviluppo delle città, dei centri storici e quindi tutta una legislazione mirata per salvare questo patrimonio, perché si considerava il centro storico patrimonio della realtà locale. Adesso sta decollando anche il concetto del “paesaggio come bene culturale”, un bene che vediamo consumare e distruggere intorno a noi di giorno in giorno. Il paesaggio ci ricollega al passato perché fa parte della nostra storia. Ci hanno aperto le tende di questa sala e lo vedete in che contesto siamo, questo è il nostro contesto. Il paesaggio fa parte del nostro essere. L’ambiente finisce per definire e determinare ogni singolo individuo e questo ce lo confermano gli psicologi: il bambino infatti, dai suoi primi giorni di vita, definisce il suo essere attraverso i rapporti che ha con l’esterno.

 


Ci siamo dimenticati di questa vena sotterranea che alimenta tutti questi beni culturali, che li ha fatti sorgere in passato. Ma da dove è nato questo patrimonio? I monumenti delle nostre città, le case coloniche, il nostro modo di produrre, la piccola industria di cui si fa un gran parlare, il nostro atteggiamento, il nostro dialetto che pur varia, da dove ci derivano, chi ce li ha trasportati, chi ce li ha definiti? Questa vena sotterranea con una parola generica può essere definita folklore, vale a dire quella cultura di base che ci appartiene e che ci ha consentito manifestazioni diverse. Il massimo della letteratura Italia, il grande Leopardi, è arrivato a quel grado di poetica e di cultura perché egli è frutto di un contesto, di un sistema locale. Questo aspetto è stato dimostrato dagli studiosi ed è per questo che il recanatese è così immediato e ancora oggi piace ai ragazzi. Leopardi viveva a Recanati, in un contesto che era quello delle donne che andavano in campagna a zappare, delle chiocce con i pulcini che circolavano per il paese, degli artigiani che lavoravano. Quello è il suo mondo, ed è un mondo diffuso. Il folklore quindi è quella messe di elementi purtroppo non materiali (cioè che non si toccano, non si vedono se non per pochi aspetti) che sono diffusi e ancora esistono e che voi gruppi manifestate, studiate, investigate e tramandate. Il vostro ruolo in questo campo è quindi fondamentale, un ruolo che però ha bisogno di un po’ di visibilità e in questo mi riallaccio al discorso che faceva il Presidente Ripoli. Purtroppo questa visibilità bisogna conquistarsela dalla base, perché ancora oggi il termine folkloristico assume troppo spesso ha una valenza dispregiativa. A livello delle sfere che decidono, cioè a livello politico, il folklore è visto ancora con un po’ di sufficienza, come una sottocultura. Sottocultura ci sta bene, ma nel senso di dove poggia la cultura, perché se non ci fosse la sottocultura non esisterebbe neppure la cultura. Noi, voi, il popolo, siamo i portatori della vera cultura, della base su cui poggia la cultura. Una nostra peculiarità regionale molto in voga fra economisti e politici è proprio il made in Marche: hanno capito che collegare il prodotto al luogo di produzione, da al prodotto una qualità maggiore. Molti industriali si vantano di essere marchigiani e citano spesso le Marche. Ebbene noi siamo le colonne su cui poggia la società ed è ora che qualcuno cominci a prenderci in considerazione. Ci ha pensato l’Unesco a livello internazionale, ma l’Italia è in ancora in ritardo in quanto deve ancora ratificare questa convenzione che riguarda i beni immateriali, e quindi in sostanza il folklore. Il Governo italiano deve ancora sottoscrivere questa convenzione dell’Unesco, organismo che dà il suo patrocinio oltre che per grandi monumenti, per aree geografiche importanti, ecc…, anche per alcuni elementi immateriali. In Italia hanno ottenuto questo riconoscimento i Tenores sardi e i Pupi siciliani. È un po’ una vergogna, perché di queste realtà ne esistono moltissime, seppur con diversi livelli qualitativi. Condivido l’opinione del Presidente del fatto che bisogna cercare di vivacizzare e rivitalizzare anche da parte nostra, del popolo, questo settore, di non mummificarlo. Non dobbiamo apparire come i rigidi custodi della tradizione, per cui se il saltarello è quello, con quelle cadenze, con quelle battute, non si può modificare, condannando qualsiasi contaminazione. Io penso che ci deve essere il settore che fa la ricerca scientifica che stabilisce il rispetto della tradizione, ma lasciamo allo stesso tempo che i giovani, che gli artisti lo usino, perché fa parte della nostra cultura. Tutto ciò che vediamo è frutto di contaminazione. Lo stesso saltarello prima che arrivasse l’organetto, si suonava con altri strumenti come il violino, il violone, poi man mano si è imposto l’organetto, ma il saltarello è rimasto. Non ci dobbiamo far spaventare dal fatto che ci possano essere dei gruppi, degli artisti, delle persone che elaborano, studiano. Il Folklore si evolve, l’importante è che non si spezzi questa catena che ci lega al passato, sennò finiamo nella “globalizzazione”, nel “McDonald mangereccio” (visto che siamo in un ristorante) dove non esisterà più il piatto, la ricetta caratteristica e il prodotto tipico, perché sarà tutto un gran marasma di prodotti industriali globalizzati. È molto importante la vostra presenza stamattina (si rivolge ai gruppi).


Il Presidente Mario Borroni riferirà successivamente di qualche iniziativa del Centro Studi sul Folklore Piceno di Ortezzano, come la volontà di ripetere gli incontri, di confrontarsi fra le persone i gruppi, di continuare questa attività fino a che diventi non un movimento di massa, perché non c’è da illudersi, però che ci sia una sensibilità da parte delle istituzioni, della gente, su questo tema. Certo anche da parte nostra ci vuole un po’ di serietà. Il folklore non si può utilizzare per secondi scopi, altrimenti lo si offende. E’ bello invece il vostro approccio al folklore, che sentite ancora come partecipe della vita quotidiana, della vita del passato, che trasmettete ai ragazzi delle scuole, ai nipoti, ai figli. L’obbiettivo nostro è quello di generare un po’ di interesse nelle giovani generazioni, senza illudersi che tutti balleranno il saltarello o suoneranno l’organetto, ma far si che riacquistino una maggiore sensibilità, un rispetto e un amore del passato che è diffuso in cui possono ricamare le loro trame e che servirà loro per costruirsi il loro futuro. Termino il mio intervento con questa raccomandazione. Volevo complimentarmi con voi e con il presidente e tentare di darvi uno stimolo a proseguire finché avete voglia e tempo, perchè la vostra è una missione nobile, culturale. Io sono qui nella veste di un professore esperto della tematica, però sono una persona del popolo, figlio di contadini che ha mille cose da raccontare di quello che era la vita di ieri. I ragazzi già sono dispersi, frastornati, tentati da tutto, farli riappropriare di un legame col passato non guasta, un po’ di interesse per le loro radici li fa riflettere e gli da una sicurezza in più. In fondo siamo fortunati perché viviamo in ambienti non ancora eccessivamente corrotti e rovinati, per questo possiamo ancora tentare di rafforzare il rapporto dei giovani con noi vecchi, con il passato, la storia e la tradizione, anche solo dal punto di vista della memoria. A questo proposito è importante anche solo qualche piccola attenzione quotidiana che possiamo avere con loro attraverso il modo di mangiare, il rapporto col cibo e con gli oggetti. Ad esempio ho sempre raccontato ai ragazzi che mia nonna, se cadeva un pezzo di pane per terra, ce lo faceva baciare. Bisogna fargli capire che il cibo è un valore, che non si abituino a questo consumismo, dove si spreca e si butta tutto. Quindi il ruolo e la missione che noi e voi possiamo avere in questo campo è dura perché ci dobbiamo far largo solo con le nostre forze, perché non c’è nessuno che dall’alto ci capisce, ci comprende. Però la strada è questa ed è stata tracciata e quindi vediamo di andare avanti.

GIANNI BRAGONI (Consigliere Nazionale F.I.T.P.):

Grazie veramente di cuore al professor Rossi per questo intervento molto appassionato. Devo dire che ha fatto molto piacere, credo a tutti noi, ascoltare persone come il professor Rossi, che riaccendono l’entusiasmo: un grazie particolare quindi a nome di tutti. Adesso passiamo la parola al professor Angeletti autore del libro “La Vergara, divagazione folclorica sulla donna manager di cento anni fa. Ci parlerà soprattutto dell’importanza del canto e del ballo come occasione di incontro dei giovani di un tempo.

Prof. CESARE ANGELETTI (autore del libro “La vergara”):

Per prima cosa ringrazio il Presidente Ripoli per quello che fa e per come lo fa e poi il professor Rossi che ha introdotto in maniera eccellente il nostro discorso. Luigi Rossi ha iniziato parlando del grande Leopardi, io nel mio libricino “La vergara” ho usato in copertina le parole del grande scrittore Giovannino Guareschi, conosciuto come autore di Don Camillo, che,per inciso, ha scritto cose anche più belle che molte persone non conoscono. La frase che io ho preso di Guareschi è questa: << L’avvenire è alimentato dal passato. Guai a coloro che non coltivano il ricordo del passato, sono gente che semina non sulla terra ma sul cemento >>. Il professor Rossi ha parlato del folklore, io vado alle radici del folklore, rappresentate dalla famiglia colonica marchigiana. Quando parliamo di famiglia colonica marchigiana non parliamo della famiglia di oggi composta da madre, padre con uno, due o al massimo tre figli, ma parliamo di clan familiari composti da un vecchio, una vecchia con 6-7 figli maschi sposati una parte o quasi tutti, un paio di figlie zitelle che rimanevano a casa, i nipoti, ecc…La proporzione era che un ettaro di terra poteva supportare una persona adulta e un animale adulto. Presentai tempo fa ad Uno Mattina, la trasmissione di Antonella Clerici, una famiglia di Macerata di 52 elementi che aveva 52 ettari di terra e 52 vacche. Se la famiglia diveniva più numerosa si cambiava terreno nel giorno di San Martino, l’11 Novembre. In quella data venivano fatte le stime, i cambiamenti di terreno: ancora oggi in alcuni piccoli paesi fare San Martino significa cambiare casa. La famiglia era questo nucleo o “clan” familiare piramidale a capo del quale c’era il vergaro cioè “portatore di verga”, quindi uomo che comanda. Vicino a lui c’era la vergara che comandava di meno, in teoria, ma in pratica la notte in camera da letto poteva far valere le sue ragioni. Era quindi una famiglia patriarcale guidata però molto spesso dalla donna. La figura della vergara c’è in tutta Italia: mi hanno chiamato dal Trentino dicendo che anche loro hanno questa figura; i due fratelli Guareschi (i figli di Giovannino) mi hanno scritto dicendo che loro hanno una figura uguale chiamata residora, quindi reggitrice. Quindi la figura di questa donna straordinaria c’è in tutta Italia. Ma le vergare erano due, una era la vecchia vergara che aveva il diritto di essere la vergara, l’altra è la giovane vergara. Quella a cui mi rivolgo nel libro non era la vergara anziana, ma quella più giovane, cioè colei a cui tutta la famiglia si rivolgeva perché ispirava fiducia, e rappresentava in pratica il personaggio centrale della famiglia. Quando una ragazzina raggiungeva i 16 anni aveva delle norme precise da rispettare, non era più autorizzata a parlare con gli uomini. Se arrivava un uomo a casa e chiamava (non suonava il campanello perché non c’era la corrente elettrica) non poteva mettersi a parlare e dire che fai, che vuoi, ma diceva: << aspetta che chiamo mio padre >> o << aspetta che chiamo mio fratello >>. Se si fosse messa a parlare con un uomo sarebbe stata cacciata di essere ragazza poco per bene e c’erano buone probabilità che rimanesse zitella. Le norme erano queste. La ragazza poteva scambiare qualche parola con il ragazzo solo ed esclusivamente nel mese che andava da metà giugno a metà luglio, il periodo della mietitura e della trebbiatura.


Allora qualcuno dirà: << ma come faceva questa gente per parlarsi? >>. Era molto semplice, attraverso il canto e il ballo, lo stornello e la serenata. Ecco l’importanza storico-antropologica dei gruppi folclorici. Io sono stato l’unico allievo di Giovanni Ginobili, grande marchigianista, che aveva scritto: << canta joanottu mia, canta a batò, se non ce sai cantà caccete un occhiu >>, ossia era meglio per un giovane perdere un occhio che non saper cantare, perché non poteva rapportarsi con le ragazze. Ecco l’importanza del canto, del ballo e dello stornello nella famiglia colonica marchigiana. Il ragazzo proponeva con lo stornello alla ragazza un “mi piaci”, la ragazza non poteva rispondere si perché sarebbe stata una ragazza poco per bene, poteva non rispondere no. Se era un no la ragazza poteva rispondere con uno stornello del tipo: << su la finestra mia ci sta li vasi non ce li vojo io li ficcanasi >>. Se non era un no allora lui capiva che ci stava e poteva continuare nel corteggiamento. Oltre allo stornello c’era la serenata, anche per questa però c’erano delle norme. Poteva cantare direttamente il ragazzo oppure poteva far cantare il gruppo. Si facevano canzoni prima su altre case, perché non si poteva direttamente andare a fare la serenata a casa della fidanzata, altrimenti c’era il rischio che il padre altrimenti sparasse con le cartucce di sale grosso. Per evitare inconvenienti simili cantavano prima in giro per poi arrivare successivamente a casa della ragazza. Allora l’innamorato a quel punto in mezzo al gruppo, se faceva fare o faceva una canzone, era una proposta (come dire ti ho visto, mi sei piaciuta), se ne faceva fare due era un mandare a quel paese (lui aveva tentato, lei gli aveva detto di no allora lui andava lì, gli faceva la serenata con due canzoni), se erano tre canzoni era una dichiarazione d’amore. A quel punto la ragazza non poteva rispondere, non poteva affacciarsi in nessun modo. Allora se voleva dire di si, c’erano vari espedienti discreti (che potevano variare anche a seconda della zona), ad esempio accendeva un lume nella sua camera. Siccome la serenata si faceva all’imbrunire, se la ragazza accendeva il lume era un segno, una risposta per dire << la serenata tua mi è piaciuta, tu mi piaci >>. La candela serviva come scusa, nessuno poteva dire niente. Un altro modo e momento per rapportarsi era durante il ballo. Le ragazze andavano dal vecchio, il capo famiglia, rivolgendosi a lui con il voi, dicendo: << nonno ce fate fa lu vallu che non va vè? >>. Il nonno che era l’autorità, alla prima e alla seconda richiesta rispondeva di no ma alla terza volta magari diceva si. Che cos’era “lu vallu che non va vè”? Era il ballo dove le ragazze invitavano a ballare i ragazzi. Era un modo per dire per cui la ragazza diceva al ragazzo di farsi avanti perché gli era gradito. Durante il ballo c’erano gli scambi di sguardi. Tutto doveva essere limitato e svolgersi con decoro perché il padre era attento. In genere era la madre che attutiva le gelosie del marito verso la figlia, magari ricordando che il ragazzo era di buona famiglia, aveva il terreno o aveva le stalle piene, ecc... I vecchi dicevano: << quando la fija se nnammora la madre se “rencojonisce” >>.  Era molto difficile quindi rapportarsi fra ragazzi perché c’erano moltissime limitazioni. Per esempio se la mamma aveva la coppia di fidanzati dentro casa e doveva andare all’orto a raccogliere delle cose, li lasciava dentro casa, ma gli faceva mettere affiancati con tutte e 4 le mani sul davanzale, in modo che poteva controllare le loro mani, diceva << vojo vedè le mani!>>. Oppure ci lasciava un figlio o un nipote che aveva il compito di iugurare, ossia di tenerli sottocchio. Questo bimbo veniva letteralmente terrorizzato dalla mamma. Poi naturalmente il ragazzo si preoccupava di portarsi le caramelle qualche cosa, per toglierselo dai dintorni per qualche tempo. Iugurare viene da giogo, quindi controllare: il giogo controllava che le mucche tirassero insieme.  Ecco questa difficile situazione poteva essere superata solo con il ballo e con il canto. Allora mentre si ballava si poteva scegliere di fare il ballo dello scialle. La ragazza si metteva seduta su una sedia e buttava per terra lo scialle. I ragazzi ballavano intorno, il ragazzo si metteva in ginocchio sopra allo scialle, se lei glie lo lasciava era perché a lei piaceva, altrimenti glie lo levava e lui dava una ginocchiata per terra. Colui che riusciva a fermare lo scialle con il ginocchio ballava con la ragazza, dopo di che interveniva il ruffiano che portava avanti la cosa. Ma il ballo e il canto sono stati il centro della vita sociale della nostra famiglia colonica. Innanzitutto sappiamo che il saltarello nasce dal movimento dei piedi della pigiatura. Con il professore Zavatti di Civitanova ma di origini emiliane, che si è appassionato delle nostre tradizioni, abbiamo dato vita ad una discussione anche sui giornali, perché io dicevo che il saltarello era un ballo nato dai contadini e lui sosteneva invece che era nato nella grandi case padronali. Poi ci siamo accorti che avevamo ragione tutti e due, perché il saltarello è nato nelle grandi case padronali ma veniva ballato dai contadini che andavano a pigiare la grande quantità d’uva che veniva raccolta appunto nelle case padronali. Qualche padrone quando ha visto che i contadini si cominciavano a stancare ha chiamato uno con un’organetto e ha detto: << fa un po’ una musica piuttosto veloce così si sbrigano! >>. Il saltarello è nato in questo modo, infatti se voi ci fate caso il movimento ritmico dei piedi del saltarello è quello della pigiatura. Specialmente il tacco e punta che è quello di Macerata. Perché il saltarello ogni zona aveva il suo. Io parlo della zona mia che conosco meglio: Macerata aveva appunto il tacco e punta, Civitanova la castellana, ad Osimo c’era la gallinella, dove la donna faceva il gesto di tirare il collo alla gallina. Ogni zona aveva il suo saltarello tradizionale, che in generale era uguale per tutti, però ognuno lo adattava alla sua situazione. Il movimento inizialmente era di 12 passi, oggi ne sono rimasti 3 ed è chiamato il “ballo dell’amore” perché nella prima parte le fa un po’ la sostenuta (quindi lui corteggia), nella seconda si avvicinano e si prendono (quindi il fidanzamento) e nella terza dovrebbe ballare lui col ginocchio della donna (quindi il matrimonio). Ecco il ballo dell’amore, il saltarello, che rappresentava un momento importantissimo. Alla fine di ogni serata, per esempio dopo lo scartozzà (cioè quando si levavano le foglie alle pannocchie di grano turco) si ballava, così come durante la vendemmia: durante la mietitura e la trebbiatura no perché si era talmente stanchi che non si poteva ballare, si dormiva solo 2 o 3 ore per notte. Tutte le occasioni erano buone per stare insieme, come ad esempio la domenica pomeriggio quando, mentre gli uomini giocavano a bocce, i ragazzi e le ragazze sull’aia ballavano con l’organetto che qualcuno si metteva a suonare. Il ballo e il canto erano il centro della socialità della nostra famiglia colonica perché in quel modo potevano avvenire questi scambi. Gli uomini approfittavano per trattare l’acquisto di una vitella: si comprava sempre una vitella di seconda feta, ossia che aveva già partorito un vitellino e aveva dimostrato di essere una buona mamma, perché questo era importante in quanto avrebbe fatto 7-8 vitelli. Se ne andava a vedere tutta la gerarchia, si guardava come aveva le caviglie, perché se aveva le caviglie fine aveva tanto latte. Gli uomini facevano questi lavori o facevano partite a carte giocando a ruviscì o a bestia soprattutto, le donne chiacchieravano fra di loro o lavoravano a maglia, i ragazzi e le ragazze approfittavano del ballo per socializzare, perché era l’unico modo che gli era consentito. Il ballo diventava fondamentale nelle tre feste che si usavano fare quando avveniva il fidanzamento. La prima festa avveniva da lui per fare il contratto matrimoniale dove veniva specificato tutto quello che aveva lui e quello che portava lei. Ho trovato addirittura un contratto dove un ragazzo che non era in grado di far fronte subito al suo corredo, si impegnava davanti a quattro testimoni a completarlo in tre anni. La seconda festa era a casa di lei e consisteva nel trasporto della dote che veniva portata con il biroccio, “l’acconcio” si chiamava in dialetto. La terza festa era il matrimonio. Anche qui la cerimonia con la quale la suocera accoglieva la nuora dava un’idea di quello che sarebbe successo. Da specificare che non esistevano le parole suocera e nuora all’epoca, era la mamma e gli si dava del voi. La mamma dello sposo stava in piedi sul terzo gradino della scala che portava alla loggia e dava alla nuora una collanina d’oro che era il regalo con il quale la si accoglieva a casa, gli dava tre grani di sale che significavano << devi essere intelligente >>, un pezzettino di pane << lo devi far mangiare >>, il fuso (quello che serviva per trasformare il bioccolo di lana in filo) << lo devi vestire >> e poi gli diceva << in questa casa c’è la pace >>, e la ragazza istruita dalla nonna diceva << se ce la trovo ce la lascio >>. Questa era la cerimonia, immaginate questa povera ragazza che doveva andare a casa del marito e poi non usciva più da lì perché nella nostra zona si nasceva, si viveva e si moriva a casa, ad eccezione dei maschi che facevano i soldati. In queste tre situazioni, finito quello che c’era da fare c’era il ballo che diventava un momento sociale importantissimo. Prima si suonava col violino, col violone e altri strumenti. Tutto cambia con la venuta del famoso monaco tibetano che faceva il giro delle grandi chiese del mondo, e che, arrivato poco prima di Loreto, a Castelfidardo, chiede ospitalità a un contadino (doveva essere concessa acqua e ospitalità: non si potevano negare). Il contadino che si accorge che il monaco portava addosso un grande e strano strumento, lo fa mangiare, lo ubriaca e lo manda a dormire nel fienile. Mentre il monaco ubriaco dorme il contadino smonta lo strumento e lo disegna. La persona a cui mi riferisco era Paolo Soprani che ha costruito il primo organetto ed ora è il re delle fisarmoniche. Quindi è legata alla nostra zona la nascita dell’organetto che pian piano diventa lo strumento principe della nostra orchestra vicino alle nostre nacchere (che non erano come quelle spagnole ma erano due bastoncini), il triangolo di ferro col bastoncino, il cembalo (cioè il tamburello) che era fatto inizialmente con la pelle di gatto perché era quella che dava la sonorità migliore (oggi non si può fare più), e poi altri strumenti che sono di accompagnamento, come qualcuno che usava la chitarra. C’erano vari strumenti, qualcuno per esempio al posto del triangolo usava il cerchio della botte. Il saltarello accompagnava tutto l’arco di vita della persona nei momenti sociali, tranne quello della morte che era trattata in maniera molto seria, ma non è questo il nostro argomento ed il momento di parlarne. Per il resto in tutta la vita della nostra famiglia colonica marchigiana il leitmotiv era il ballo e il canto. Allora oggi riproporli con i nostri gruppi (dico nostri perché io mi ritengo uno di voi in quanto sono stato direttore di 3 gruppi, due di adulti e uno di bambini della scuola elementare), è un momento importantissimo per ricostruire alcuni momenti sociali. Io ho avuto il piacere con alcuni di voi, mentre facevate lo spettacolo, di fare quello che sto facendo adesso, cioè attraverso i brani che facevano i gruppi fare la storia della nostra famiglia colonica marchigiana. È importante questo di scorso, è importante che la gente conosca bene queste nostre tradizioni dalle quali proveniamo noi perché molti di noi, dell’età nostra, siamo figli dello scartoccià, del suono dell’organetto e del canto, perché i nostri genitori si sono conosciuti lì in quelle occasioni, perché altre possibilità non c’erano. Quindi le nostre radici nascono proprio da quello che voi, quando potete, portate in piazza e questo è molto importante.

GIANNI BRAGONI (Consigliere Nazionale F.I.T.P.):

Devo ringraziare anche il professor Angeletti, unico allievo di Giovanni Ginobili almeno per quel che riguarda il folklore, che con la sua energia e grande conoscenza ci ha parlato dei modi di vivere di un tempo. Stamattina abbiamo avuto la fortuna di poter attingere dalle conoscenze di questi due professori. I loro interventi rinnovano molto l’entusiasmo di andare avanti e di sopportare meglio i sacrifici che si fanno, che oggettivamente sono notevoli per tutta una serie di questioni, ma passano un po’ in secondo piano quando si riaccende quella curiosità e quell’entusiasmo.Ora passiamo la parola a Mario Borroni, il Presidente Regionale della FITP.

MARIO BORRONI (Presidente Regionale della FITP):

Diversi gruppi sono presenti, mi ha fatto piacere aver rivisto tanti amici dopo diversi anni. Alcuni gruppi sono assenti, l’augurio è quello di poterli coinvolgere in altre iniziative che sicuramente organizzeremo attraverso la nostra Associazione, il Centro di Studio sul Folklore Piceno che ha sede ad Ortezzano e di cui sono Presidente. Un incontro e un convegno si era già avuto nel mese di settembre dello scorso anno a Servigliano, per tentare di far riconoscere il saltarello marchigiano come patrimonio immateriale da tutelare da parte dell’Unesco. Erano presenti in quella occasione le rappresentanze di 15 gruppi marchigiani. Il Centro di Studio sul Folklore Piceno intende porsi come un punto di riferimento per la salvaguardia e la valorizzazione della tradizione folklorica picena intendendo con questo termine richiamarci ad un vasto territorio, quello del Piceno storico, che comprendeva il territorio marchigiano e sconfinava fino ad occupare circa un terzo del vicino Abruzzo. Organizzeremo sicuramente un altro incontro, ancor meglio strutturato del precedente, ad ottobre: avremo il tempo per invitare tutti i gruppi e organizzare qualcosa congiuntamente. L’importante è incontrarci e confrontarci, a dispetto delle diverse Federazioni a cui siamo affiliati, mettendo da parte le rivalità e i campanilismi: dobbiamo remare tutti verso lo stesso scopo, in fondo ci occupiamo tutti di gruppi folklorici. L’anno scorso come Presidente del gruppo Ortensia sono stato dall’assessore regionale Minardi per chiedere più visibilità ai gruppi folklorici. La mia richiesta era che ci facessero partecipare ed esibire alle tante fiere e manifestazioni turistiche ed enogastronomiche che la Regione Marche organizza in Italia e all’estero. Ho chiesto questo senza pretese, ma sollecitando una maggiore attenzione al nostro mondo, alla tradizione folklorica regionale. Mi hanno chiesto se eravamo associati e quanti gruppi ci sono nelle Marche. Come immaginate la richiesta non è stata accolta. Nelle Marche ci sono circa 25 gruppi non associati fra loro e divisi fra le diverse federazioni. Potremmo prendere esempio dalle rievocazioni storiche (ce ne sono 22 nelle Marche) che anche se non sono iscritte tutte alla medesima Federazione, sono però organizzate tutte sotto un comitato regionale. Presentarsi con gruppi divisi in varie federazioni non organizzati fra loro rappresenta un deficit e riduce il nostro peso politico. Per questo stiamo tentando di raggrupparci e metterci tutti sotto lo stesso ombrello in modo che se dobbiamo fare qualche azione, possiamo farla insieme, congiuntamente. In questo senso è importante l’incontro che abbiamo organizzato a Servigliano, il seminario di oggi e quello che organizzeremo ad ottobre ad Ortezzano, ma se ci saranno anche altre iniziative in altri luoghi delle Marche ben vengano.


Ci sono dei problemi per contattare e coinvolgere tutti i gruppi, infatti ve ne sono molti di cui sappiamo dell’esistenza solo per sentito dire, per passaparola. Lo sforzo che dobbiamo fare è dunque di cercare di contattare e censire tutti i gruppi, poi a quale Federazione siamo affiliati non ha importanza, purché lavoriamo insieme per la ricerca delle tradizioni popolari. Per essere ascoltati e considerati a livello regionale c’è bisogno di essere visibili ed anche in questo senso questi momenti sono preziosi. È importante consorziarsi come avviene per molte altre realtà dove ognuno agisce per conto proprio, ognuno ha le sue manifestazioni, ognuno ha la sua libertà, però spinti da interessi comuni si muovono come federazione, perché in questo modo hanno più forza, più potenza. Presentarci in Regione insieme, ha un’altra valenza rispetto all’andare col gruppo singolo, che non magari non sarebbe neppure ascoltato. Andare a nome di tutti, mettiamo di 20 gruppi composti ciascuno da 40-50 persone, è un altro discorso: si tratta di migliaia di persone che suonano diversamente alle orecchie di un politico. Oltre questo aspetto credo che questi incontri costituiscano un momento di crescita e di confronto straordinario per tutti noi. Il fatto che abbiamo intrapreso questa strada i gruppi di Matelica, Staffolo e Ortezzano, non significa che saremo noi ad andare avanti. Abbiamo rotto il ghiaccio ora c’è da iniziare un percorso insieme sperando di aggregare qualcuno che oggi non è presente.


GLI INTERVENTI DEI PRESENTI:


Il Presidente del gruppo Cocolla di Mogliano (MC):

Il prossimo anno siamo al ventesimo anno di attività, ci stiamo ristrutturando con l’inserimento di una forte componente giovane che non abbia problemi girare nelle varie parti d’Italia e non solo. Con questo inserimento il gruppo risolverà i problemi di mobilità che erano dovuti al fatto che gli anziani si spostano mal volentieri e ciò ci penalizzava facendoci rinunciare a molte trasferte. Siamo associati all’ANBIMA (Associazione Nazionale Bande Italiane Musicali Autonome) che come associazione non ci dà nessun tipo di servizio. Siamo nati per trasmettere la tradizione ai giovani, abbiamo fatto delle manifestazioni a livello locale proprio per far conoscere le tradizioni, sullo scartoccià, sulla trebbiatura, sulle canestrelle, ecc… Siamo interessati come Cocolla ad una federazione che ci dia un supporto e fornisca dei servizi. Volevo rimarcare che bisogna continuare a valorizzare il saltarello come bene immateriale da tutelare dall’Unesco, continuando sulla scia dell’incontro di Servigliano. Quando si parla di Napoli si parla di tarantella, in Puglia si parla della Pizzica, perché nelle Marche non si parla del saltarello? Bisogna promuovere il saltarello come cultura popolare nelle Marche, a dispetto delle varietà locali. Inizialmente le basi del saltarello erano 12 poi sono state ridotte a 3, l’essenziale del saltarello è la parte centrale, poi ognuno lo adatta alla sua situazione. Rimarco l’importanza dell’unione fra i gruppi per perseguire scopi comuni.

Fontanini di Filottrano:

Si dichiara d’accordo con Rossi sul discorso del folklore non visto come immutabile e mummificato, ma purché si rimanga sempre nel solco delle tradizioni. Fontanini è stato in passato presidente di un gruppo folklorico. Si complimenta con il professor Angeletti dicendo che i suoi racconti dovrebbero essere il preambolo di ogni spettacolo di folklore. Ciò consente con ciò che fate voi con i gruppi (ballare e cantare), di dare alla gente la visione reale di com’era la nostra famiglia colonica. Poi rimarca l’esigenza di essere rappresentati e di essere visibili e presi in considerazione dalla Regione quando organizza eventi come ad esempio la fiera dei marchigiani a Roma. Bisognerebbe avere un referente, un aiuto dalle istituzioni. Ci sono dei gruppi con un grande bagaglio di conoscenze che stanno morendo.

GIANNI BRAGONI (Consigliere Nazionale F.I.T.P.):

Ci interessa proporre un coordinamento regionale che prescinda dalle varie associazioni, quello che interessa è proporci a livello regionale come una famiglia, tutti insieme. Se ci presentiamo con 20 gruppi di tre sigle nazionali, abbiamo ancora più forza e la nostra diventa un’azione ancora più importante e incisiva. Ricordo che negli anni ’80 i gruppi si incontravano periodicamente con spettacoli, due tre volte l’anno, a Matelica, ad Apiro, Staffolo.

BENITO RIPOLI (Presidente Nazionale F.I.T.P.):

Per prendere i finanziamenti dovete far vedere che ci siete. Voi formate il comitato, fate vedere al di la di quello che già fate con sacrifici, che siete propositivi, che fate qualcosa di importante. Magari un’idea sarebbe quella di organizzare una manifestazione sotto la regione, per le vie di Ancona, con tutti i gruppi. Così è come è successo in Puglia. Dovete essere visibili, andate a fare uno spettacolo estemporaneo dei gruppi, fate una dimostrazione, offrite la nostra immagine. Se aspettiamo i contributi per fare delle cose, non le faremo mai.

Federico Ciattaglia, presidente del Gruppo Urbanitas [affiliato all’Ufi (Unione Folclorica Italiana)] di Apiro:

Ringrazio per l’incontro estremamente interessante. Io faccio parte di quella generazione che il folclore pur amandolo, non lo ha conosciuto. Un apprezzamento al presidente Ripoli per la sua attività e dinamicità. Il gruppo Urbanitas sabato scorso ha festeggiato il suo settantacinquesimo anniversario, probabilmente è il gruppo più antico delle Marche. Il folklore, facendo un paragone, una similitudine, è come un acquedotto che facendo strada mano a mano ha delle perdite. Quando se ne va uno degli anziani, noi perdiamo delle cose uniche, irripetibili, e non c’è modo di rimpiazzarle. L’esperienza, la preparazione dei giovani non potrà mai arrivare al livello di chi queste cose le ha vissute in prima persona. Un giovane può ripetere in maniera pedissequa la lezione che ha imparato, ma sarà totalmente diversa da chi certe cose le ha viste e vissute in prima persona. Quindi lo sforzo che dovremo fare è di far riemergere queste cose, non so come, se non altro a livello culturale questo sarebbe possibile. Ovviamente riproporlo da vivo è impossibile però a livello culturale è importante andare a tirar fuori quello che si può recuperare. Noi a volte siamo standardizzati, abbiamo 57 elementi e 40 bambini del minigruppo. I ragazzi che vanno sul palco ci vanno con la parte imparata a memoria, molti dei miei non sanno nemmeno magari l’origine di un ballo, perché si faceva. Queste sono problematiche che io sento profondamente. “Ogni vecchio che muore, muore un museo” diceva Giovanni Bronzini.
La mia istanza di tipo culturale è questa: auspico che questa iniziativa sia finalizzata e rivolta a far emergere, riscoprire o comunque tener sempre alte quelle che sono le peculiarità del saltarello, della tradizione marchigiana. Riscoprire e far riemergere per i giovani, per i più anziani significherà semplicemente portarle avanti. Ovviamente andando alla radici, perché siamo una Regione estremamente variegata determinata dai nostri crinali e valli, che hanno determinato delle differenze fondamentali e formidabili. Il saltarello si interpretava diversamente da crinale a crinale. Io auspico che da questa federazione possa venir fuori un livello culturale che ci porti a tirar fuori questi aspetti, a farli rimanere ben vivi e presenti. Io auspico che questa iniziativa sia l’occasione per un coordinamento federale sotto l’egida di una molteplicità di federazioni presso le quali siamo iscritti. Fermo restando che ognuno continua la sua attività restando nel suo alveo, con le proprie situazione organizzative, quello che eventualmente verrà fuori di finanziamenti, dovrà essere esclusivamente finalizzato per questo tipo di attività: seminari pubblicazioni, ricerche, questa è la mia posizione. Sicuramente per darci visibilità dovremo fare altri sacrifici economici, speriamo i più ridotti possibile.

Emanuela Angelini:

Innovazione e tradizione oggi possono andare tranquillamente di pari passo. Posso testimoniare, io che sto nella scuola, che oggi i ragazzi vanno alla ricerca di un’identità culturale e hanno bisogno di conoscere le proprie radici. Se non conosciamo noi stessi non siamo nessuno. Conoscendo la propria cultura i ragazzi possono anche confrontarsi con altre culture senza disprezzarle e anzi apprezzandole.

Prof. CESARE ANGELETTI (autore del libro “La vergara”):

Il saltarello era patrimonio esclusivo della nostra famiglia colonica, i nobili non ballavano il saltarello, che era per l’appunto il ballo tradizionale della nostra terra, della nostra gente colonica. Con i signori non c’era nessun rapporto. L’unico ballo che oggi qualche gruppo fa forse è la quadriglia, che era in realtà uno “scimmiottamento” che i nostri nonni facevano del ballo della famiglia signorile, sotto sotto perché anche quello non poteva essere fatto, c’erano delle limitazioni precise. Un’annotazione. I figli dei contadini non potevano avere l’abito da battesimo che era esclusiva dei nobili. Allora le nostre nonne ricavavano una federa del cuscino, in maniera straordinaria e la usavano come vestitino per i bambini. Il vestitino era bellissimo ma se qualcuno aveva da ridire qualcosa la mamma poteva rispondere che aveva usato una semplice federa e che quello non era il vestitino da battesimo. Quindi questo è un patrimonio proprio della nostra gente contadina e va salvaguardato proprio per questo, perché era un patrimonio esclusivo.

Prof. CESARE ANGELETTI (autore del libro “La vergara”):

Una curiosità, vi spiego cosa significava quando una ragazza diceva al ragazzo: << io per te non do l’acqua a lo granturco >>. Immaginate una coppia di sposi che la prima notte di nozze doveva fare l’amore sopra un materassone fatto con le foglie di granoturco, con i tramezzi della stanza che molto spesso erano fatti di graticci di canna (quando ci si sposava molto spesso per motivi di spazio si ricavavano altrestanze di fortuna) con una mano di intonaco e una mano di calce. La nonna suggeriva alla nipote << cocca, appena finito pranzo va de sopra e da l’acqua a lo granturco>>. La ragazza andava di sopra e dalle due aperture laterali del materassone, inumidiva le foglie di modo che le foglie non facevano rumore. Quindi quando una ragazza diceva a un giovanotto <<non te sbatte perché io non do l’acqua allo granturco>> significava andare in bianco. Ma la battuta poteva essere rovesciate e poteva essere il ragazzo che si avvicinava alla ragazza dicendo: << oh’ Madonna mia quanto te farrio da l’acqua a lo granturco! >>.

Gruppo folclorico di Staffolo:

Auspico che ci siano questi incontri fra i gruppi perché possono creare quell’interesse che si può creare solo nei piccoli centri. Culturalmente in città veniamo visti in modo negativo, come una cerchia sempre più ristretta ed è quindi giusto portare avanti la tradizione soprattutto nelle scuole.

Prof. CESARE ANGELETTI (autore del libro “La vergara”):

Oltre ad aver scritto La vergara, ho pubblicato anche I quaderni della vergara, ognuno dei quali dedicato ad un aspetto particolare: la mietitura, la trebbiatura, la polenta, la pista del maiale, ecc… Questi quaderni potrebbero essere riuniti in un’unica pubblicazione. Ho raccolto queste notizie perché sono cose che si stanno perdendo, si sta perdendo tutto. I contadini o per snob o perché se lo sono dimenticato, dicono che non se lo ricordano. Io non sono uno scrittore, sono uno che fa memoria, un narratore, che ha scritto queste cose perché non si perdano. La vergara reagiva giornalmente a quella che era l’esigenza, doveva risolvere i suoi problemi e li risolveva perché era stata preparata a fare la vergara, dalla mamma, dalle zie zitelle, dalla nonna fin dall’età di 5-6 anni cominciava a fare sotto forma di giochi, cominciava a fare il suo studio per diventare vergara, come vengono preparate le regine d’Inghilterra, allo stesso modo. Mai ad esempio nessuna vergara avrebbe comprato il sale fino perché costava di più ma lo passava sotto ad un bottiglione d’acqua su un piano liscio. C’erano anche altri metodi più macchinosi, ma la vergara non poteva perdere tempo e usava il metodo più veloce.

BENITO RIPOLI (Presidente Nazionale F.I.T.P.):

 


Rivolgendosi a Federico Ciattaglia lo rassicura: << noi come Federazione durante Italia-Regioni organizziamo già uno spettacolo-laboratorio nel quale ci adoperiamo in modo che i gruppi prima di salire su un palco facciano ricerca: gli diamo un tema, studiano il tema, portano il rispetto della veridicità storica che è stata tramandata su quel tema >>.

Prof. CESARE ANGELETTI (autore del libro “La vergara”):

Ci sono molti improvvisatori che vanno a spacciare per folklore cose che non hanno nessun legame con la tradizione. Il mio maestro Giovanni Ginobili mi ha insegnato a condurre così la ricerca: andare in campagna a sentire gli anziani avere la testimonianza, poi andare in biblioteca a verificare e poi riverificare chiedendo al contadino: << perché tu mi hai detto questo io lì ho trovato scritto quest’altro? >>. E magari veniva fuori che in quel luogo la tradizione era diversa, però per essere sicuri di quello che si dice ci vuole una verifica. A me ha fa piacere quando persone anziane mi dicono: << quello che tu hai detto io l’ho vissuto! >>. Io mi limito semplicemente a fare memoria di quella che era la famiglia colonica marchigiana. È importante che chi va nelle scuole, soprattutto nelle scuole, si vada con correttezza sapendo quello che si dice.

MARIO BORRONI (Presidente Regionale della FITP):

Faremo questo coordinamento di cui si parlava in precedenza contattando tutti i gruppi presenti e non presenti e proporremo qualche iniziativa anche solo per scambiarci fra di noi idee e suggerimenti perché in fondo lavoriamo tutti per lo stesso scopo senza fini di lucro anzi con rimesse e sacrifici, ma questa è una passione che ci dà anche grandi soddisfazioni come quella di stamattina visto che ci siamo trovati e confrontati. Ringrazio tutti. Ora i balli dei gruppi. Seguono le esibizioni dei gruppi che hanno avuto modo di confrontarsi e anche divertirsi insieme ballando e suonando la gioiosa musica del saltarello marchigiano.

I GRUPPI PRESENTI E LE IMMAGINI DEI BALLI:

 

 

 

 

 

 

1 La Cocolla è il cuore antico di Mogliano, anticamente denominato con questo nome.

2 Antico nome del paese di Cupramontana.